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realtà virtuali.

ita

LA LAND ART DELL' EXTRAPOSSIBILE

(ciclo di opere per VR)

di Lino Strangis

 

Fin da quando ho iniziato a cimentarmi con le arti multimediali (all'inizio principalmente installazioni di video e suono) ho da subito interpretato questi strumenti come qualcosa che ci permette di ampliare la nostra idea di mondo "aumentandolo" letteralmente di presenze vive che ne cambiano l'essenza stessa. Come scriveva Heidegger, l'opera d'arte 'fonda un mondo', questi mondi per secoli sono rimasti limitati in singole visioni discrete ed estremamente parziali: se si pensa ad esempio alla pittura potremmo dire che questi mondi (mentali, culturali, essenziali ed esistenziali che le opere d'arte aprivano) sono rimasti intrappolati dietro una finestra inavvicinabile tramite la quale vedere giusto qualche scorcio di spazio in un tempo congelato. Ora queste opere che fondano mondi e sono mondi, possono essere visitati fisicamente, il limite tra visibile e invisibile può ritenersi in qualche modo valicato e si può abitare letteralmente l'impossibile grazie agli attuali visori di cosiddetta realtà virtuale. Perchè scrivo cosiddetta? Di norma si usa il termine virtuale per dire banalmente 'non reale' o perfino fittizio, ma a mio avviso questo termine è errato per tutta una serie di possibili creazioni che sono quelle del tipo che interessano la mia ricerca. Contrariamente alla tendenza che va per la maggiore nel mondo dell'intrattenimento commerciale, a me il 3D super realistico non è mai interessato come quando dipingevo (molti anni fa) non mi interessava riprodurre fedelmente ma inventare; non copiare le cose del mondo ma inventarne di nuove, originali e precedentemente impossibili, non visibili (nel senso anche di impossibili da vedere) in quella che chiamiamo realtà, che quindi non sono dei surrogati di un qualcosa che vive realmente altrove, bensì qualcosa dotato di vita e caratteri propri e originali. Il termine virtuale dovrebbe essere utilizzato per quelle realtà che intendono imitare la realtà preesistente e non per quelle che costruiscono realtà originali, le quali vanno a farsi vere e reali nel momento in cui le raggiungiamo indossando i visori. Non sono quindi realtà virtuali ma tutt'al più virtualità reali (su questo concetto ho scritto un libro intitolato appunto 'Real virtuality. Opere e pensieri di un artista nell'era del software' edito nel 2017 dall'editore Kappabit).

 

Le mie opere (nel corso degli anni ho realizzato molti lavori di videoarte in cui ho usato, dopo molte tecniche video anche l'animazione 2d e 3d ma sempre tenendo presente questa "speciale chiave" a mio avviso estremamente rilevante) da sempre sono concepite come processi metaforici, ora che uso la tecnologia VR sono letteralmente dei luoghi significanti in cui intraprendere particolari esperienze percettive e di senso. Ho sempre pensato che nel comportamento della natura siano contenute innumerevoli metafore riguardo l'esistenza in genere e sono rimasto estremamente affascinato dalle azioni compositive che fin dagli anni '60 la corrente di artisti della land art ha messo in pratica modificandone delle parti ad hoc per veicolare sensi ed esperienze in opere d'arte concretamente calpestabili, visitabili, abitabili, navigabili. Ma i limiti della land art coincidono con i limiti del mondo che definiamo reale: modificare la natura in modi estremi può diventare facilmente poco etico sul piano ecologico ed estremamente complicato sul piano logistico e dello sforzo economico necessario per realizzare certe grandi e complesse operazioni. Tutto ciò viene a variare radicalmente grazie alle tecnologie vr e ai software che permettono di realizzare mappe anche enormi, luoghi come opere d'arte che, non solo non devono preoccuparsi delle possibili conseguenze ambientali delle loro azioni, ma che inoltre possono contravvenire ai limiti imposti dalle leggi fisiche (e non solo) che vigono sul nostro pianeta. Così in circa un paio d'anni sono nati vari scenari, tutti intesi primariamente come luoghi rituali in cui intraprendere percorsi esperienziali in cui una componente sempre rilevante è un profondo livello di introspezione (quello che propongo per il vostro festival è uno di questi). In questi luoghi, in cui si è visitatori inattesi, il fruitore navigatore interagisce al suo passaggio con un gran numero di eventi visivi e sonori ma fa parte della mia poetica il fatto che tutto ciò accada sempre più o meno inavvertitamente ed in modo che non sia sempre molto chiaro ed immediatamente comprensibile quali siano le conseguenze. Perlustrando questi speciali siti si interagisce con molte animazioni oltre che con la musica (varie tracce sonore estratte dai miei vari album sono sistemate sulle mappe in modo da interagire tra loro, generando sempre una musica effettivamente diversa) a seconda di dove si muove il fruitore (co-compositore inconsapevole) che però non ha alcun specifico segnale: nessuno di questi fenomeni è sistemato a bella posta per soddisfare l'ego del fruitore che non deve avere minimamente la sensazione di poter governare alcunché del mondo in cui si trova ma esserne semplicemente una parte anzi una piccola parte, ospite momentaneo, visitatore inatteso.

eng

THE LAND ART OF THE EXTRA-SUSPENDABLE

(cycle of works for VR)

by Lino Strangis

Since I started experimenting with multimedia arts (at the beginning mainly installations of video and sound) I immediately interpreted these tools as something that allows us to broaden our idea of the world "increasing" it literally of living presences that change the essence itself. As Heidegger wrote, the work of art 'founds a world', these worlds for centuries have remained limited in discrete and extremely partial single visions: if we think of painting, for example, we could say that these worlds (mental, cultural, essential and existentials that works of art opened up) were trapped behind an unapproachable window through which to see just a few glimpses of space in a frozen time. Now these works that found worlds and are worlds can be physically visited, the limit between visible and invisible can be considered somehow crossed and you can literally inhabit in the impossible thanks to the current headset of so-called virtual reality. Why do I write so-called? Normally we use the term virtual to say trivially 'not real' or even fictitious, but in my opinion this term is wrong for a whole series of possible creations that are those of the type that interest my research. Contrary to the trend that is most popular in the commercial entertainment world, to me the super realistic 3D is never interested as when I painted (many years ago) I was not interested in reproducing faithfully but inventing; do not copy the things of the world but invent new ones, original and previously impossible ones, not visible (in the sense of impossible to see) in what we call reality, which therefore are not surrogates for something that really lives elsewhere, but something gifted of life and their own and original feature. The term virtual should be used for those realities that intend to imitate the pre-existing reality and not for those that build original realities, which go to make themselves true and real when we reach them wearing the viewers. So they are not virtual realities but at most real virtualities (on this concept I wrote a book entitled "Real virtuality: works and thoughts of an artist in the software age" published in 2017 by the publisher Kappabit).

 

My works (over the years I have done many video art work in which I used, after many video techniques also the 2D and 3D animation but always keeping in mind this "special key" in my opinion extremely relevant) have always been conceived as metaphorical processes, now that I use VR technology, are literally signifier places in which to undertake particular perceptive and meaningful experiences. I have always thought that in the behavior of nature are contained innumerable metaphors about existence in general and I was extremely fascinated by the compositional actions that since the '60s the current of artists of the land art has put into practice modifying parts ad hoc to convey senses and experiences in works of art concretely walkable, visitable, habitable, navigable. But the limits of land art coincide with the limits of the world that we define real: changing nature in extreme ways can easily become unethical on an ecological level and extremely complicated in terms of logistics and economic effort necessary to achieve certain large and complex operations. All this comes to vary radically thanks to vr technologies and software that allow you to create even huge maps, places like works of art that not only do not have to worry about the possible environmental consequences of their actions, but that can also contravene the limits imposed from the physical laws (and not only) that govern on our planet. So in about a couple of years were born various scenarios, all intended primarily as ritual places in which to undertake experiential paths in which an always relevant component is a profound level of introspection (what I propose for your festival is one of these). In these places, in which you are unexpected visitor, the navigator user interacts with his passage with a large number of visual and sound events but it is part of my poetics the fact that everything happens more or less inadvertently and so that it is not always very clear and immediately understandable what the consequences are. Scouring these special sites you interact with many animations as well as with music (various audio tracks extracted from my various albums are arranged on the maps in order to interact with each other, always generating a really different music) depending on where you move the fruiore ( co-composer unaware) but that has no specific signal: none of these phenomena is arranged in good order to satisfy the ego of the user who must not have the slightest feeling of being able to govern anything of the world in which it is but to be simply a part of it, a small part, a temporary guest, an unexpected visitor.

 

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